L'ape - dal bestiario popolare della Regione Emilia Romagna
Data pubblicazione: Dec 16, 2008 8:39:32 PM
apicoltura fu in passato, come del resto la bachicoltura, una di quelle attività integrative intraprese dai contadini più per necessità che per vocazione. Il governo delle api non rientrava infatti tra le loro mansioni abituali, ma era una possibilità per fare quadrare il gramo bilancio familiare. Il miele prodotto, benché molto gradito dai contadini, veniva perciò venduto. A parte un piccola scorta serbata per nutrire le api d’inverno e per curare bronchiti o infiammazioni alle vie respiratorie, il miele veniva ceduto e usato come dolcificante, semplice alimento, oppure impiegato in farmacologia.
Dell’ape è proverbiale la litigiosità; nel Reggiano si dice ad esempio L’ée ‘na vrèspa (È un ape), a chi punzecchia e disturba il prossimo. La voce dialettale bega (ape), poi, comune a molti dialetti del Nord, significa litigio, da cui anche il verbo begare "litigare". L’origine del termine è probabilmente gotico, dato che anche in questa lingua bega corrisponde a "litigio", che è proprio la reazione che le api hanno quando vengono impunemente stuzzicate.
Una credenza diffusa tra i nostri avi era quello che il miele, pur considerato un alimento sopraffino, non fosse altro che escremento d’ape. Ciò traspare anche da un indovinello romagnolo: Longa lungâgna, la ve da la muntâgna, la chéga una zérta mérda ch’u la mâgna nech u pépa (Lunga lungagna, viene dalla montagna, caca una certa merda che la mangiano anche i papi).
Tra gli apicoltori improvvisati (quasi tutti), era comune attribuire al fato (e al Signore) i successi e le disavventure del loro lavoro.
La prima azione da compiere per garantirsi un buon raccolto di miele, ed evitare letali epidemie nell’arnia, era a quella di offrire in dono, alla Madonna della più vicina parrocchia, metà della cera prodotta dall’alveare.
Un’altra comune superstizione, diffusa soprattutto tra i più scaltri e sfaccendati, era di considerare il miele migliore e più abbondante quello prodotto da api rubate o trovate. Anche se si rischiava di prendere legnate dal vicino, era consuetudine sottrarre intere colonie d'api durante la sciamatura, attirandole con sistemi più o meno leciti.
Anche la risaputa castità dell’ape - alla sola regina sono riservati i piaceri dell’amore - ha generato alcune divertenti superstizioni. Si crede infatti che le api, quando devono individuare chi pungere tra un gruppo di persone, scelgano spesso quella che da meno tempo ha goduto dei piaceri della carne, ed evitino sempre e comunque, anche se irritate, d’infastidire e pungere le ragazze vergini.
Nella medicina popolare vigeva l’abitudine di usare la puntura d’ape per curare i dolori reumatici. Per costringere questi insetti a colpire nel punto giusto, venivano rinchiusi dentro un bicchiere appoggiato sulla parte dolorante e provocati. Se servisse o meno non è certo, ma il dolore provocato dalla puntura, almeno per un po’ di tempo, faceva sicuramente dimenticare quello reumatico.
Per concludere, due ultime notiziole: le api sono sempre insetti di buon auspicio e, trovarsele in casa, è segno di buone notizie in arrivo. Quando, infine, le api sono numerose, e pungono di frequente, è segno di prosperità, quando pungono poco e sono rare, di carestia.
Aree dialettali di riferimento: 1) Piacenza; 2) Parma; 3) Reggio Emilia; 4) Modena; 5) Bologna; 6) Ferrara; 7) Romagna; 8) Novi di Modena; 9) Cento (Fe); 10) Guastalla (Re); 11) Borgotaro (Pr); 12) Alta Valle del Reno (Bo); 13) Carpi (Mo)