La stampa 03-04-2008 - Addio Wall Street, meglio i deserti e le onde dei mari
Data pubblicazione: Aug 20, 2009 7:46:5 AM
Addio Wall Street, meglio i deserti e le onde dei mari
Negli Usa il business delle “rinnovabili” è già iniziato. Mille miliardi di dollari e un boom di nuove industrie (La Stampa, 3-04-08)
Sulle alture dell’Iron Range del Minnesota, nell’ultimo fine settimana di marzo, hanno girato per la prima volta le pale bianche della fattoria eolica destinata a garantire 24 ore al giorno elettricità a 8 mila famiglie. Dan Janish, direttore del progetto, si sente un pioniere del XXI secolo: ogni turbina pesa 70 tonnellate, ha un diametro di 100 metri e per le megaeliche montate con una gru da 450 tonnellate ogni giro che riescono a fare spinte dal vento è da considerarsi un successo. Se tutto filerà liscio, entro giugno le turbine contribuiranno per l’1% alla produzione di energia in Minnesota, dove il 7,5% già viene assicurata da fonti idroelettriche e biomasse.La scommessa di Janish è una finestra sul laboratorio dell’energia rinnovabile negli Usa, un settore che nel 2006 ha dato lavoro a circa 8 milioni di persone, generando 993 miliardi di dollari di entrate, 100 miliardi di profitti e - secondo l’«American Solar Energy Society» - un aumento di proventi fiscali di 150 miliardi. Sebbene l’impatto sul costo medio dell’energia per i contribuenti ancora non si senta e gli Usa rimangano comunque dipendenti dall’importazione del 24% del fabbisogno di petrolio dall’instabile Medio Oriente, la moltiplicazione di progetti privati per lo sviluppo di fonti rinnovabili crea la sensazione che sia stata intrapresa la strada giusta per liberarsi nel medio-termine dalle importazioni di greggio, economicamente dannose per i bilanci e politicamente scomode.Se il Minnesota, al pari di Texas e California, vanta i maggiori investimenti nella produzione di energia prodotta con il vento e l’Iowa del governatore Tom Vilsack è la roccaforte della produzione di etanolo nel Mid-West, la più recente novità sul fronte delle fonti rinnovabili viene dalle acque dell’East River di New York, dove è stato calato il primo prototipo di turbina sottomarina, progettata per trasformare le onde in energia. La «Verdant Power» genera elettricità alimentando una drogheria e un parcheggio sulla Roosevelt Island. Si tratta di uno dei 21 test che la «Federal Energy Regulatory Commission» ha permesso di realizzare di fronte alle coste del New England, della Florida e della California, puntando a raggiungere l’obiettivo fissato da Roger Bedard, responsabile del settore-Oceani dell’Istituto per la ricerca sull’energia elettrica, secondo il quale entro 50 anni il 20% dell’energia prodotta dalle onde potrà essere intercettata, coprendo il 10% del fabbisogno Usa.
Poiché l’acqua è 850 volte più densa dell’aria, Bedard ritiene che nel medio periodo i costi delle turbine saranno inferiori a quelli delle turbine eoliche, anche in ragione del fatto che le correnti marine possono essere previste anni in anticipo, mentre per conoscere i venti bisogna ricorrere a satelliti e palloni atmosferici. Chris Sauer, presidente di «Ocean Renewable Power», ha in mente un progetto faraonico: posizionare una turbina sottomarina nel Golfo del Messico per sfruttare la corrente e ottenere energia tale da illuminare la Florida. Altri, invece, obiettano che solo posizionando le turbine al largo, negli oceani, si potrà fare concorrenza all’eolica, mentre tre ricercatori hanno affidato a «Scientific American» la proposta di un «Solar Grand Plan»: trasformare in solari le centrali a carbone, gas e nucleare, puntando a produrre entro il 2050 il 35% del fabbisogno Usa. «L’energia prodotta da raggi solari che per 40 minuti colpiscono la Terra è pari al totale dell’energia prodotta nel mondo in 12 mesi», scrivono Ken Zweibel, James Mason e Vasilis Fthenakis, suggerendo al Presidente Usa di costruire centrali solari nelle 250 mila miglia quadrate di deserto del Sud-Ovest: «Questa parte di America riceve ogni anno 4500 quadrilioni di “Btu” di radiazioni solari: convertendone il 2,5% in elettricità, avremmo il totale del consumo annuo del 2006». Realizzare simili progetti richiede di stanziare cifre proibitive, come 400 miliardi di dollari entro il 2050, ma la Conferenza internazionale dell’energia rinnovabile (Wirec), svoltasi a Washington, ha dimostrato come centinaia di aziende di 40 nazioni sono in competizione per abbassare i costi, fino al punto da varare progetti diventati convenienti di fronte all’impennata del greggio.
A Washington c’era anche David Mills, responsabile della ricerca di Ausra, società impegnata a dimostrare la fattibilità di alimentare con energia termale il «90% della rete elettrica Usa», grazie al fatto di immagazzinarla. La coincidenza fra crisi a Wall Street e incombente recessione porta acqua ai paladini delle risorse rinnovabili, perché - spiega Neal Lurie, direttore del marketing della “American Solar Energy Society” - i posti di lavoro creati nel 2030 dalle energie pulite potrebbero arrivare a 40 milioni». Ci si riferisce a questi nuovi posti di lavoro come ai «Green collar jobs» e non si tratta tanto di coloro che parteciperanno alla produzione di energia pulita quanto al volano di professioni e prodotti che seguirà. Per avere un’idea di quanto matura bisogna guardare a Google, che con il co-fondatore Sergey Brin ha detto di voler investire «decine di milioni di dollari» per arrivare a produrre in proprio «abbastanza energia pulita per alimentare le 330 mila case di San Francisco».
E’ a questo mercato che puntano i 20 team finalisti del premio «Clean Energy Entrepreneurship» (imprenditoria dell’energia pulita) messo in palio dal MIT e sponsorizzato - con 200 mila dollari - dal dipartimento dell’Energia e dalla compagnia elettrica Nstar. Basta guardare ai progetti per avere un’idea di un futuro che potrebbe essere dietro l’angolo: si va dall’auto in grado di fare 160 km con 4 litri di carburante a una membrana di carbonio per la desalinizzazione, dalle pompe geotermali agli scooter elettrici come mezzi di trasporto pubblico nelle città.