Energia ed agricoltura
L’energia dell’agricoltura
Riprendendo quanto detto nell’introduzione relativamente al rapporto economia rurale – società, è evidente come, ancora una volta, l’agricoltura possa fornire un sostegno decisivo al cambiamento, dotandosi gli strumenti adatti per definire nel contesto della multifunzionalità una relazione chiara tra la produzione dei beni, l’energia e la sua gestione. L’agricoltura, industriale o locale, è sempre scarsamente energivora se paragonata alle filiere produttive che seguono la trasformazione dei beni primari e delle georisorse. Viceversa l’agricoltura è “globalmente” energivora considerando la larghissima scala cui si rapporta. E può essere globalmente fonte di energia se dotata di appropriati strumenti di produzione e di gestione. Il mondo moderno conosce forme di agricoltura molto diverse, disseminate ai quattro angoli del globo. Cambiano le varietà, le specie coltivate, vi sono meccanismi di cura e di raccolta adeguati alle condizioni climatiche all’organizzazione sociale, alle caratteristiche del bene coltivato. In ogni luogo del mondo l’esperienza agricola lega la produzione al consumo ed alla produzione di energia in modo non coordinato, dovendo rispondere di bisogni locali o di mercato, rivolgendosi quasi sempre altrove, esternamente alle attività agricole, per l’approvvigionamento energetico. Quindi una prima parola chiave da registrare è “coordinamento”.
La rete dell’energia: il sistema agricoltura-rinnovabili
Se tutti i produttori del settore agricolo e zootecnico fossero impegnati per costituire una rete di raccolta dell’energia prodotta con fonti alternative, ad esempio con sistemi eolici o con le biomasse in eccesso con processi adeguati di selezione o utilizzassero in modo adeguato le superfici disponibili per una produzione dedicata, trasferendo sulla piccola scala la possibilità di produrre energia pulita per il trasporto o ad uso delle imprese di trasformazione, si innescherebbe un processo di sostenibilità in grado di investire tutte le categorie produttive. In un contesto siffatto assumerebbero un ruolo rilevante: a) l’idrogeno, ottenuto direttamente dalle biomasse per processi di pirolisi ovvero attraverso turbine e elettrolizzatori connessi a sistemi eolici, a sistemi di captazione dell’energia solare, alla combustione delle biomasse in apposite centrali b) i biocombustibili ottenuti da coltivazioni dedicate ovvero attraverso la manutenzione del sistema forestale con l’obiettivo di garantire il funzionamento dei mezzi agricoli o per successive trasformazioni chimiche necessarie allo sviluppo di altri comparti.
La grande estensione di talune aziende agricole e l’organizzazione di altre più piccole per la concentrazione dei conferimenti possono essere inoltre la piattaforma ideale per una economia energetica solare e del vento. La prima forma di produzione richiede la disponibilità di superfici ampie ove collocare la risorsa produttiva, ovvero i pannelli fotovoltaici o le parabole a concentrazione, scegliendo le soluzioni più adeguate dal punto di vista paesaggistico e quindi si attaglia bene alle aziende di grande ampiezza. La seconda richiede oltre alle caratteristiche enunciate anche la disponibilità di un area con caratteristiche idonee per garantire un ritorno economico di livello ma si attaglia ad aziende di dimensioni piccole e piccolissime che non hanno la possibilità di rinunciare alle superfici produttive.
L’economia rurale si potrebbe in questo modo arricchire di un valido “motore”, al servizio della rete agricola e delle industrie di trasformazione o distribuendo sul mercato, in Italia attraverso la “borsa elettrica”, energia prodotta da fonti rinnovabili ottenendo anche le premialità riconosciute per l’energia “verde”. In tal senso si potrebbe sviluppare una specifica borsa per l’energia proveniente dal mondo agricolo: la borsa dell’energia rurale.
A valle del percorso di produzione è necessario però impostare correttamente le dinamiche dell’innovazione per garantire il successo della produzione energetica locale che attualmente è ostacolato in primo luogo dai meccanismi di distribuzione e dalla scarsa regolarità dei carichi elettrici prodotti. Per questo può venire in aiuto una nuova modalità di trasformazione e conservazione dell’energia ovvero quella connessa ai cicli di produzione e trasformazione dell’idrogeno. Questi cicli devono essere promossi attraverso adeguate politiche di diffusione e protetti dagli oneri fiscali nella prima fase del loro consolidamento.
La politica dell’idrogeno è una politica tutta locale che richiede un adeguato livello di concertazione sul territorio. E’ necessario di volta in volta valutare la situazione di una determinata area geografica – distretto rurale, e selezionare le tecnologie di produzione energetica più appropriate che possano introdurre una trasformazione verso l’alto che conduca alla produzione dell’idrogeno elettrolisi dell’acqua o attraverso processi di gassificazione. L’idrogeno così prodotto per successive trasformazioni, sarebbe impiegato per produrre energia elettrica “stabile” e “continua” da introdurre sulla rete primaria. Le perdite corrispondenti alle diverse fasi di trasformazione sarebbero ampliamente compensate dalla qualità del servizio energetico e dall’indipendenza dalle fonti tradizionali. Le dimensioni potenziali della rete del sistema rurale attivato per realizzare una politica energetica integrata sarebbero infatti in grado di competere sul mercato dell’energia globale basata sulle risorse tradizionali. Grandi o grandissimi volumi di energia si potrebbero muovere sul mercato, restituendo alla produzione agricola un ruolo centrale nell’economia,.
E’ per questo necessario pensare un modello che porti a soluzioni efficienti su piccola scala avendo in mente il potere propulsivo delle reti, che sono in grado di mettere a sistema piccoli valori per un grande obiettivo comune. Per questo sistemi energetici semplici e di piccole dimensioni, come quello riportato in figura, possono trovare facile applicazione, sostegno economico delle istituzioni nazionali ed europee. L’Italia potrebbe facilmente essere il “motore” di questo cambiamento, elaborando un paradigma di produzione dell’energia cui corrisponda un modello definito delle unità energetiche per il mondo agricolo che una volta collaudato potrà essere esportato negli altri paesi del mondo. Si tratta di un’ipotesi non peregrina ed è da considerarsi non soltanto attuabile ma anche autosostenibile sul piano economico a partire dai territori.
Per il mondo rurale esistono infatti già ora soluzioni “concrete” che permettono l’integrazione di sistemi energetici a basso o nullo impatto ambientale. In modo particolare deve essere adottato come punto di riferimento il modello dei “cicli chiusi”, che prevede l’integrazione delle risorse energetiche locali con sistemi di produzione, stoccaggio e distribuzione dell’idrogeno per la riconversione in energia elettrica o meccanica per le attività agricole o il trasporto di cose e persone. È evidente che l’agricoltura moderna ha bisogno di percorsi formativi sull’innovazione tecnologica in agricoltura in materia di energia e gestione delle risorse destinati specificamente al mondo rurale che permetta di comprendere ed accettare questo modello.
Avviare una politica di mera defiscalizzazione e di abbattimento dei costi del carburante per il settore agricolo potrebbe determinare un “passo indietro” nella politica energetica rurale. Piuttosto, dovendo e potendo fare investimenti che ragionevolmente potrebbero basarsi sul tagli alle voci di spesa meno produttive, come quelle militari, sarà bene procedere con una azione di governo in grado di “sostituire” definitivamente, alterando il processo del consumo, quelle fonti non rinnovabili che costituiranno sempre un laccio al collo dell’economia rurale e più in generale di tutta l’economia.