Agricoltura nel sistema produttivo
La centralità dell’agricoltura nel sistema produttivo. Daniele Pulcini
Il sistema produttivo costituito dal mondo agricolo immette nel mercato del consumo i beni elementari necessari alla sopravvivenza dell’umanità. L’ampiezza di questa affermazione porta in se una serie di implicazioni che debbono essere valutate come premessa ad un ragionamento sulla centralità dell’agricoltura per uno sviluppo globale sostenibile e per l’individuazione dei temi politici di maggior rilievo da inserire in un dibattito costruito dall’Unione sulla multifunzionalità. Le società moderne che in modo diverso si sono consolidate in tutti gli stati non percepiscono in modo adeguato questa realtà, avendo subito gli effetti di un progressivo distacco cognitivo dovuto alla mancanza di percorsi educativi adeguati e delle distorsioni operate dal sistema capitalistico e liberista. Oggi più che mai le dinamiche mondiali sono influenzate dalla disponibilità di risorse alimentari o meglio da una loro inesatta ed ineguale distribuzione, o sperequazione. Quest’ultimo fenomeno, per fermarci soltanto ai fenomeni più macroscopici, è all’origine dei flussi migratori dagli stati localizzati nei Paesi in Via di Sviluppo verso i Paesi Industrializzati.
Questa premessa serve ad accennare alla centralità dei “sistemi rurali” come punto di partenza delle riflessioni che si faranno nel seguito, mostrando per quali vie si identifichi una relazione di fatto ed altre potenziali, tra agricoltura e politiche per la vita dell’uomo e per lo sviluppo e per affrontare le dinamiche del sistema socio-economico corrispondente. In modo particolare si porrà in evidenza come la politica agricola rivesta un ruolo centrale anche per gli effetti che genera od è in grado di generare in ambiti apparentemente legati ad altri settori dello sviluppo come quelli identificati grandi temi dell’energia e del risparmio energetico. E’ bene sottolineare sin d’ora che il nuovo paradigma della politica ambientale individua una centralità dell’agricoltura legata anche agli aspetti di gestione e valorizzazione del territorio e dell’ambiente intesi d’ora in poi come “beni comuni”, giustificando in tal modo ed in senso non esclusivamente economista il contributo finanziario che la collettività deve apportare al sistema agricolo. La difesa ed il mantenimento dei “beni comuni” costituiscono tra altri il reale valore aggiunto portato dalla multifunzionalità dell’agricoltura
E’ necessario fare alcune brevi considerazioni. Nel sistema economico globale coesistono principalmente due distinte “macro-visioni” del ruolo dell’agricoltura nel sistema produttivo che generano un dibattito continuo al livello sia internazionale che nazionale. La prima visione (a), legata ad alcune culture dominanti e post-fordiste affida all’agricoltura un ruolo minoritario nell’economia con tutta una serie di effetti conseguenti sul piano politico che debbono di volta in volta essere analizzati. La seconda visione (b) è più collegata ad un’analisi puntuale del sistema economico globale condotta da organismi internazionali che possono ancora essere considerati sufficientemente indipendenti, da cui emerge un quadro decisamente diverso di qualificazione sia dei sistemi rurali che degli attori che ne sono gli ingranaggi fondamentali, gli agricoltori.
a) Per gli economisti capitalisti i piccoli produttori agricoli, che compongono il tessuto produttivo principale del sistema economico, sono spesso indicati come elementi a bassa produttività; il livello di attenzione dei governi delle diverse nazioni verso la necessità delle imprese e dei distretti rurali su cui insistono è, in conseguenza di quanto detto nel punto precedente, piuttosto basso; questa situazione determina tra gli altri effetti negativi una scarsa distribuzione di risorse economiche per la promozione della multifunzionalità nelle imprese agricole.
b) I dati della FAO, tra gli altri, sovvertono in modo drastico le indicazioni degli economisti capitalisti, affermando che l’agricoltura su scala familiare è più produttiva dell'agricoltura industriale su larga scala. Questa conclusione, derivata dai dati di circa un decennio di osservazioni e monitoraggio, è di fondamentale importanza, dovendo affrontare il tema dello “promozione della multifunzionalità”, per accennare ad un possibile mutamento dei principi su cui si fondano le attuali politiche di sostegno e di sviluppo della maggior parte dei paesi industrializzati.
Coloro che promuovono l’agricoltura industriale giustificano l'intensificazione dell'uso di sostanze chimiche e del consumo di energie in quanto elementi necessari per nutrire una popolazione sempre crescente. Questi elementi avrebbero la funzione di aumentare la produttività e quindi la quantità di alimenti disponibili. A questo punto, prima di procedere, è necessario fare una riflessione sul significato di produttività: si definisce con questo termine la produzione rapportata alla quantità di fattori utilizzati: risorse naturali, (acqua,materia organica), energia, prodotti chimici ecc. Il consumo intensivo,ad esempio,di carburanti con l'uso di macchine agricole sostituisce il lavoro umano e contribuisce cosi a concentrare la proprietà in grandi aziende. Quando si sceglie il lavoro umano impiegato come "fattore" per calcolare la produttività, si finisce per rilevare “sulla carta” una produttività agricola maggiore, una disponibilità alimentare accresciuta, mentre in realtà, molte risorse energetiche e chimiche sono state sprecate, sono stati modificati modi di vivere con un conseguente spopolamento delle aree rurali portando di fatto ad aggravare la situazione alimentare. A conti fatti, poiché l'agricoltura industriale è altamente consumatrice di fattori produttivi primo fra tutti l’energia e non ne è affatto preservatrice, dobbiamo dedurre che la sua produttività sia realmente minore. E certamente, anche nei casi limite, non possiamo affermare che l'agricoltura industriale abbia una produttività superiore all'agricoltura tradizionale o biologica. L’analisi brevemente riportata in questa nota si fonda anche su uno studio pubblicato sulla rivista Scientific American che ha confrontato le policulture tradizionali e le monoculture industriali. Le prime producono 100 unità alimentari per 5 unità di fattori della produzione mentre le seconde per produrre le stesse 100 unità alimentari hanno bisogno di 300 unità produttive! Le 295 unità disperse dal sistema industriale potrebbero fornire 5900 unità alimentari con la policoltura. E’ evidente dunque quanto sia forte la necessità di integrare nel sistema rurale nuovi fattori nel contesto di una multifunzionalità strutturata che possano influenzare l’agricoltura su grande scala e migliorare la competitività e la stabilità delle imprese di piccole dimensioni agendo localmente sulle leve economiche e sociali. La possibilità di impiegare il fattore umano produttivo con migliori risultati implica inoltre la preservazione dei livelli occupazionali ed in taluni settori della multifunzionalità è in grado d’imprimere una spinta propulsiva per l’incremento occupazionale. E’ il caso, per fare un esempio, delle coltivazioni “dedicate” per il settore energetico di cui si parlerà più avanti.